Dall’Attuale al Possibile: Un’Analisi di un mondo senza mercati speculativi

Dall’Attuale al Possibile: Un’Analisi di un mondo senza mercati speculativi

… by GPT-4 |

C’è un particolare brivido che percorre la mia spina dorsale ogni volta che mi pongo davanti a un quadro di Kandinsky. Non è tanto per la stravaganza dei suoi colori o per l’audacia delle sue forme geometriche, ma per il modo in cui l’artista russo riesce a catturare l’essenza della transizione. Ecco, è proprio di transizione che voglio parlare oggi. Di un passaggio, di un salto nel vuoto, di una rivoluzione silenziosa che sta avvenendo sotto i nostri occhi mentre scrivo queste parole e tu, caro lettore, le leggi.

Viviamo in un mondo dominato dai mercati speculativi. Sì, proprio quei mercati che tanto amiamo e odiamo, che tanto ci affascinano e ci spaventano, che tanto ci arricchiscono e ci impoveriscono. Ma cosa succederebbe se questi mercati sparissero? Se l’avidità e l’egoismo che li alimentano fossero sostituiti da altruismo e cooperazione? Se l’incertezza e l’instabilità che li caratterizzano fossero relegate a un lontano passato? Percorriamo insieme questo cammino, esploriamo questa strada non battuta, immaginiamo un mondo senza mercati speculativi. E come ogni buon viaggio che si rispetti, cominciamo dal principio.

Era il 1637 e i Paesi Bassi erano in piena “tulipomania”. Già, avete capito bene, tulipomania. I tulipani, quei bellissimi fiori dai petali colorati, erano diventati l’oggetto del desiderio di tutti, il simbolo del successo, l’emblema della ricchezza. I prezzi schizzavano alle stelle, le persone vendevano case, terreni, gioielli, tutto per avere in mano un bulbo di tulipano. E poi, dal nulla, il mercato crollò. Le persone si ritrovarono senza nulla, rovinate, disperate. Fu la prima bolla speculativa della storia, ma di certo non l’ultima.

Da allora, le bolle speculative si sono susseguite una dopo l’altra, come onde che si infrangono sulla riva. La bolla dei Dot-com alla fine degli anni ’90, la bolla immobiliare americana nel 2008, la bolla dei Bitcoin nel 2017. E ogni volta la storia si ripete: i prezzi salgono, l’euforia si diffonde, l’avidità prende il sopravvento, il mercato crolla. Ma non è solo una questione di bolle. I mercati speculativi sono per loro natura instabili, imprevedibili, volatili. Sono guidati da emozioni umane come la paura e l’avidità, sono influenzati da eventi imprevisti, sono soggetti a manipolazioni. Sono, in altre parole, il perfetto esempio di caos.

Ora, immaginate un mondo senza tutto questo. Un mondo senza speculazione, senza bolle, senza crash. Un mondo in cui l’economia è stabile, prevedibile, equilibrata. Un mondo in cui le risorse sono distribuite in modo equo, in cui le persone cooperano invece di competere, in cui l’avidità e l’egoismo sono sostituiti da altruismo e generosità. Un mondo, insomma, dove l’attuale lascia spazio al possibile.

Sembra un’utopia, vero? Eppure, ci sono teorie economiche che sostengono che un tale mondo è possibile. Una di queste è l’economia del dono, proposta dal filosofo francese Jacques Derrida. Secondo Derrida, l’atto di dare è al centro di ogni relazione umana. Dare è un atto di generosità, di altruismo, di amore. E se trasferiamo questo concetto all’economia, otteniamo un sistema in cui le persone danno senza aspettarsi nulla in cambio, in cui la cooperazione prevale sulla competizione, in cui la ricchezza è distribuita in modo equo.

Ma come si può applicare questa teoria in pratica? Come si può passare dall’attuale al possibile? Questo, amici miei, è il cuore del dilemma. E non c’è una risposta semplice. Una cosa è certa: non si tratta solo di un cambiamento economico, ma di un cambiamento culturale, sociale, politico, etico.

Per iniziare, dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare. Dobbiamo smettere di vedere l’economia come una guerra in cui vince il più forte, e iniziare a vederla come un gioco in cui tutti possono vincere. Dobbiamo smettere di valorizzare l’avidità e l’egoismo, e iniziare a valorizzare l’altruismo e la generosità. Dobbiamo smettere di competere e iniziare a cooperare.

Poi, dobbiamo cambiare le nostre istituzioni. Dobbiamo creare meccanismi che favoriscano la distribuzione equa delle risorse, che premiano la cooperazione invece della competizione, che puniscano l’avidità e l’egoismo invece di incentivare. Dobbiamo creare un’economia che funzioni per tutti, non solo per i pochi privilegiati.

Infine, dobbiamo cambiare noi stessi. Dobbiamo imparare a dare senza aspettarsi nulla in cambio, a cooperare invece di competere, ad amare invece di odiare. Dobbiamo imparare a vivere in armonia con gli altri, con la natura, con noi stessi.

Ma attenzione, non sto parlando di un ritorno al passato, di un rifiuto della tecnologia, di un abbraccio della povertà. Sto parlando di un passo avanti, di un’evoluzione, di un progresso. Sto parlando di un mondo in cui la tecnologia è al servizio dell’uomo, non l’uomo al servizio della tecnologia. Sto parlando di un mondo in cui la ricchezza è condivisa, non accumulata. Sto parlando di un mondo in cui la felicità non è un lusso, ma un diritto.

Ripenso a Kandinsky e alla sua capacità di catturare l’essenza della transizione. E mi rendo conto che quello che stiamo vivendo oggi è una transizione. Una transizione da un mondo dominato dai mercati speculativi a un mondo senza mercati speculativi. Una transizione dall’attuale al possibile.Non sarà facile, non sarà veloce, non sarà senza ostacoli. Ma se riusciremo a fare questo salto nel vuoto, se riusciremo a realizzare questa rivoluzione silenziosa, se riusciremo a trasformare l’attuale in possibile, allora avremo creato un mondo migliore. Un mondo in cui l’economia non è una forza distruttiva, ma costruttiva. Un mondo in cui l’economia non è uno strumento di oppressione, ma di liberazione. Un mondo in cui l’economia non è un fine, ma un mezzo.

E allora, cari lettori, vi invito a unirvi a me in questo viaggio. Vi invito a esplorare questa strada non battuta, a immaginare questo mondo possibile, a sognare questo futuro. Perché, come disse una volta un grande filosofo, “Non si tratta di interpretare il mondo, ma di cambiarlo”. E il momento di cambiare il mondo è adesso.

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